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Bruno Munari: il gioco

A Munari piaceva ripetere “Un bambino creativo è un bambino felice”. Ce ne parla l'educatrice e atelierista Tiberia Gadaleta.

05.10.2019

Bruno Munari: il gioco - Immagine: 1
Da bambino si divertiva a far volare piume e semi di acero, a catturare raggi di sole in uno specchio e ad ascoltare i vari suoni di gocce d’acqua che cadevano su superfici differenti. 

Immerso nella natura, Bruno Munari giocava. Da grande è, come lui stesso si definisce, un“inventore, artista, scrittore, designer, architetto, ma soprattutto gioca con i bambini!”. 

E se per qualcuno il gioco non rappresenta qualcosa di serio perché non appartiene al mondo degli adulti, per lui lo è e a dimostrarglielo è l’osservazione dei bambini mentre giocano. Quel gioco, apparentemente libero e spontaneo, è guidato da regole.“Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. 

E’ una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e con i bambini come futuri uomini”(Restelli, 2002).Giocare vuol dire conoscere ed esplorare… per poi scoprire che un foglio può diventare una grotta e che se passiamo qualche minuto col“naso all'nsù”, una nuvola non è solo una nuvola, ma un cammello o una pecora e quanto in quel momento ci fa pensare! 

Giocare, secondo Munari, vuol dire arricchire il pensiero creativo di un bambino e giocare con arte è il nome del primo laboratorio che ha realizzato. Arte come liberazione e libertà, come espressione del pensiero progettuale del bambino, il cui prodotto non deve esser interpretato come tale, ma come semplice traccia di sé,frutto del momento appena vissuto; ogni significato attribuito e suggerito dall'adulto, infatti,limiterebbe l’emozione del conoscere. 

Pertanto nel Metodo Bruno Munari è fondamentale il ruolo dell’adulto, cosa deve fare,anzi… non deve fare! L’operatore “assiste” il bambino ed è regista di quello che avviene,preoccupandosi che l’ambiente predisposto sia ricco di materiali da conoscere e da sperimentare. 

Suggerisce come fare e non cosa fare.I suoi laboratori sono luoghi di sperimentazione, di conoscenza e apprendimento, lì dove la fantasia nasce dall'intreccio  di relazioni e dalla conoscenza tattile dei materiali. Attaccare,assemblare materiali diversi - come sughero,polistirolo, carta - vuol dire creare. 

A Munari piaceva ripetere “un bambino creativo è un bambino felice”.La maggior parte dei suoi laboratori sono volti ai bambini più grandi (da quattro anni in poi), poiché per realizzarli è necessario l’utilizzo di materiali come forbici, pinzatrici o strumenti che potrebbero essere un po’ pericolosi per i più piccoli, ma la sua educazione ai sensi è un argomento che interessa tutti noi sin dalla nascita, da quando il nostro corpo incontra quello della mamma e da quando mani conosciute e sconosciute ci sfiorano e ci manipolano.Il primo linguaggio è il tatto. Col tatto giochiamo e conosciamo. 

Tocchiamo oggetti morbidi, freddi,caldi, ruvidi. Accarezziamo il prato, affondiamole mani nella sabbia, nella neve. Con un piccolo gruppo di bambini prendiamo dei giochi mai visti… la prima cosa che vogliono fare è toccare!“Tutti gli umani, al momento della nascita, sono forniti di un apparato plurisensoriale, per natura… 

Col passare degli anni,gran parte di questo apparato viene atrofizzato perché l’individuo, per lo sviluppo della conoscenza, dà la prevalenza alla logica e alla letteratura” (Restelli, 2002). 

Quanti di noi hanno provato piacere a spalmarsi la colla sulle mani e a levarsela quando è asciutta?!Un giorno, con un gruppo di grandi, al termine di un percorso col collage, ho osservato i bambini che, sporchi di colla ormai asciutta, se la spiluccavano dalle mani… alcuni gli uni con gli altri. Sono rimasti tanto tempo concentrati (più del tempo del collage proposto!) e, da allora,ho deciso di partire proprio da qui. Non è forse importante per un bambino un’esperienza apparentemente così semplice, ma che racchiude tante scoperte?Spesso, invece, ci si rivolge loro dicendo “Non toccate!” oppure ”Non vi sporcate!” e si finisce col farli crescere senza fargli sperimentare il“sentire”. Sentire nel senso di provare un’emozione e nel senso di porgere l’orecchio. 

Da piccoli si sentono le campane, l’ambulanza.Si ascoltano gli uccelli e si solleva lo sguardo per scoprire che c’è la scia di un aereo e, ad alta voce, si punta il dito in alto e si dice:“Guarda l’aereo!”… perché loro, i bambini, i sensili usano tutti, al contrario di noi adulti che mangiamo guardando la televisione o il cellulare.Loro sì che vivono momento per momento. 

Allora aiutiamoli sin dalla nascita a mantenere queste potenzialità e a sviluppare queste naturali competenze, perché fare arte non è solo colorare.


Tiberia Gadaleta, educatrice e atelierista.

Articolo comparso su Educare 03, 2018, n. 3.

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