Francesco De Bartolomeis sintetizza il valore pedagogico dell’esperienza grafica dicendo: “Il bambino libera e organizza energie, inventa un linguaggio, costruisce astrazioni (simboli), risolve problemi, verifica conoscenze, sceglie cose ed eventi ed esprime il suo atteggiamento verso di essi. Insomma fa esperienze e si sviluppa e, perciò, si educa”. Il disegno, la pittura, le attività plastiche sostengono e promuovono lo sviluppo cognitivo, psicomotorio, affettivo del bambino.
Tracciando e modellando vengono attivati una serie complessa di meccanismi e di funzioni psico-corporee: dai processi percettivi a quelli di memoria, dagli schemi psicomotori alle capacità concettuali, dall’elaborazione complessa di processi di pensiero del tipo “problem solving” all'attivazione dei “circuiti emotivi” del sistema nervoso autonomo... L’indubbio valore dell’esperienza grafica diviene ancor più evidente quando si fa riferimento alla “traccia” quale linguaggio individuale, unico e speciale sistema di rappresentazione del bambino. Nell'acquisizione del linguaggio verbale, il bambino procede, prevalentemente, per imitazioni: riproduce un codice socialmente condiviso e si adegua, per lo più, a uno schema convenzionale. Attraverso la produzione grafica, invece, emergono soprattutto la qualità e le capacità personali del bambino di “inventare” un proprio codice espressivo. Questo rende il disegno un linguaggio speciale, attraverso il quale è possibile dialogare e conoscere il bambino nella sua unicità e individualità. Infatti, se il bambino viene lasciato libero di esprimersi attraverso i segni, spontaneamente privilegia le qualità espressive e narrative del disegno, rispetto alle qualità oggettive e formali.
Il disegno, quindi, evidenzia e descrive, più di ogni altro codice, le caratteristiche proprie di ogni bambino nei diversi periodi evolutivi.
... e leggere il loro contenuto
Per questa soggettività, una lettura attenta e obiettiva delle loro “narrazioni” grafiche richiede passione e metodo. Leggere i disegni dei bambini significa capire ciò che essi vogliono esprimere e comunicare, ciò che vogliono dirci. Leggere non significa interpretare: cercare il nascosto, l’oscuro, il patologico. Leggere vuol dire ascoltare, attendere, chiedere, osservare.
È l’equivalente di un dialogo, dove gli episodi e le cose da dire appaiono contemporaneamente: la globalità, l’insieme dell’immagine evidenzia i nessi, le relazioni, esalta la causalità e la continuità tra i concetti.
Leggere non vuol dire: indagare, invadere, insinuarsi.
Leggere significa: aprirsi al bambino, ricercare con lui chiarezza e spontaneità.
Un adulto che legge un disegno si rivolge al bambino chiedendogli: “Cos’è questo?” mostrando così curiosità e interesse.
Ben diverso è chiedere: “Perché hai fatto questo?” (il senso della domanda potrebbe, infatti, risultare indagatorio e colpevolizzante).
Per decodificare e comprendere il linguaggio grafico dei bambini ci vuole metodo:
• nel porgere le domande;
• nell'ascoltare;
• nel rispettare i tempi di elaborazione del bambino;
• nel rispettare i suoi silenzi;
• nel trovare gli stimoli adeguati perché il piccolo possa comunicare la ricchezza del suo sentire.
Tutto ciò fa sì che il bambino possa fornire la chiave di lettura del codice che lui stesso ha creato e di cui possiede il significato e ogni segreto.
Maria Rita Parsi, Angela Ganceri.
Articolo comparso su Educare 03, 2016, n.4