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Hai anche tu la Sindrome del Poverino?

L’empatia è la capacità cogliere e sentire dentro di sé le emozioni dell’altro. Quando ci si trova di fronte a difficoltà dell’altra persona o disagi e patologie, può scattare un’eccessiva empatia, che porta a non vedere più le potenzialità dell’altro, ma solo i suoi limiti e le sue sofferenze: è la Sindrome del Poverino (Isopo, 2016).

24.07.2018

Hai anche tu la Sindrome del Poverino? - Immagine: 1

Tutti conosciamo probabilmente la storia di Heidi: una bambina nata tra i monti svizzeri, costretta a trasferirsi in città dalle montagne, dove viveva libera e felice con il nonno, il suo amico Peter e le caprette. In città abitava in una casa lussuosa, senza la libertà dei monti. Per fortuna nella casa aveva un’amica, Clara, una ragazzina sulla sedia a rotelle (aveva smesso di camminare da piccola, dopo la morte della madre). Nessuno dei più prestigiosi dottori di Francoforte aveva saputo curarla ed era tenuta dalla severa governante, la famigerata signorina Rottermeier, sotto una campana di vetro, perché… poverina… non poteva camminare! E così Clara non usciva mai, non incontrava nessuno, non godeva della natura e non sapeva nemmeno di avere tante capacità, perché non era mai stata messa nella condizione di sperimentarsi e di scoprire le sue risorse. Grazie a Heidi, che riusciva a coinvolgerla con la sua vivacità e il suo sguardo che sapeva andar oltre la difficoltà dell’amica, aveva finalmente iniziato a scoprire la bellezza di aprire le finestre, di andare al parco e così via.


Arriviamo ora al punto della storia in cui Heidi riesce a tornare alle sue amate montagne, dal nonno, dopo aver salutato Clara con la promessa che si sarebbero viste durante l’estate proprio lì sui monti. Così, poco prima delle vacanze estive il medico di Clara s’incarica di vedere il luogo dove avrebbe soggiornato la ragazzina: si inerpica faticosamente sulle montagne e ammira i paesaggi e l’aria pura. Sembra proprio un posto adatto per Clara! Il dottore si ferma a parlare col nonno e con Heidi nel meraviglioso prato dell’alpeggio, per prendere accordi sulle vacanze di Clara. Ma… proprio in quel momento Heidi urta un mastello di legno, che scivola giù, giù, lungo il pendio, rompendosi in pezzi. Il nonno, il medico e Heidi si paralizzano, prefigurandosi cosa sarebbe potuto accadere a Clara seduta sulla sua carrozzina di legno… poverina, come avrebbe fatto? La montagna non è adatta a una persona su una sedia a rotelle, è troppo rischiosa! Il nonno e il medico convengono che non si può far rischiare la vita a Clara, la montagna, per quanto splendida, non è un posto adatto a lei.


Noi tutti sappiamo però che poi Clara riuscirà ad andare in montagna e proprio lì imparerà a camminare. Come hanno fatto a cambiare idea i due adulti, che giustamente si preoccupavano delle condizioni di salute della ragazzina?


Heidi piangente, con un colpo di genio, uscendo dalla “Sindrome del Poverino” (come la chiama Enzo Isopo nellibro scritto con Chiara Moretti “Sindrome di Apert: una mamma sempre, ancora,comunque”, Sephirah Ed., 2017) singhiozza al medico e al nonno: “Voi non vedete altro che Clara nella sua carrozzina, ma Clara non è la sua carrozzina!". Fortunatamente i due si rendono conto dello schema mentale che stavano utilizzando e immediatamente accolgono il pensiero di Heidi di iniziare a vedere Clara come Clara e non come la poverina che non può camminare.


Lo stesso potrebbe dirsi quando ci troviamo di fronte a una persona, piccola o grande che sia (ma potremmo essere noi stessi), con delle difficoltà fisiche o emotive o sociali o in situazioni di disagio, in genere tendiamo a vedere solo quelle, con un’etichetta: tu sei quella sindrome, tu sei la tua difficoltà, tu sei figlio di separati, tu hai una mamma depressa oppure io sono ansioso, io non sono apprezzato da nessuno ecc. Per poi concludere con un bel “poverino!” o “povero me!”.


Tolstoj disse Tutti pensano di cambiare il mondo, ma nessuno pensa di cambiare se stesso, cioè difficilmente pensiamo che siamo noi a dover per primi modificare il nostro vederci e vedere l’altro. Siamo i primi a dover uscire dalla Sindrome del Poverino - che scatta perché si empatizza eccessivamente, attribuendo alla fine all'altro sentimenti tristi che sono solo nostri - per poter sostenere davvero le potenzialità dei bambini e in generale chi è in fase di cambiamento o di difficoltà.


Come scrive E. Isopo (2017, p. 94), "sia che il dire poverino sia rivolto verso situazioni di cui siamo osservatori, attori in scena, sceneggiatori o scrittori per terzi, il risultato non cambia. Qualcuno avrà delle aspettative. ...In modo assolutamente silente, genera in ognuno un giudizio soggettivo e, in relazione al grado di coinvolgimento, arriva a generare pensieri legati a come, su cosa e quando gli attori sociali devono agire. La sindrome ha una funzione evolutiva importante, è necessaria per ravvivare la relazione sociale, ma rischia di diventare disfunzionale nel momento in cui le rigidità psichiche personale prendono il sopravvento".

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