In ambito educativo la scrittura è all'ordine del giorno. Perché si scrive?
Dal mio punto di vista, l'urgenza dello scrivere nasce nel momento in cui cerchiamo un senso più grande. Questo senso non si trova da nessuna parte, se non nell'atto stesso di essere esplorato. E' il nostro modo per allenare le percezioni e le sensazioni a nuovi percorsi. Questo è il lato buono della scrittura. Quello meno buono è invece rappresentato dalla fame di produrre contenuti e ottenere visibilità, tipica di certi comportamenti digitali al limite del narcisismo. In questo secondo caso si scrive perché siamo ossessionati dal cercare soluzioni esterne a situazioni interiori. Non ci guardiamo dentro a sufficienza e quindi guardiamo fuori.
Parli di storytelling digitale. Di cosa si tratta?
Da sempre la costruzione di storie e supporti narrativi ci aiuta a decodificare il mondo e a immaginarci preda di situazioni immaginarie da cui uscire. Vale per i racconti mitici, che prima di tutto ci illustrano storie di eroi e divinità alle prese con passioni molto terrene. Vale per le fiabe, che ci mettono in guardia dagli eccessi. Vale per i canali digitali, che oggi forniscono a tutti noi la possibilità di conoscerci, esprimerci e capire come funzioniamo. In questo preciso momento storico lo storytelling esprime la sua massima forza perché identità condivisa. Sarebbe fantastico coinvolgere gli operatori dei servizi per l'infanzia, i bambini e le famiglie nella produzione di supporti creativi da utilizzare in modo partecipato per creare comunità. Basta anche un mini-sito per raccontare la storia delle persone che ci circondano. In una società in cui i valori culturali tendono a relativizzarsi, le comunità a dissolversi, il senso di identità a essere messo in crisi, può essere utile ritrovare il senso del fare assieme. Parlare e scrivere in termini di noi, non di io.
Lo storytelling può essere uno strumento di aiuto all'equipe educativa?
Certo, l'importante è avere sempre chiaro che il fine non è lo storytelling, ma l'esperienza vissuta insieme. Un esempio potrebbe essere spostare le riunioni, a cadenza regolare, in luoghi diversi da quello abituale di lavoro e trasformarle in esperienze significative, ognuno può portare un contributo (una lettera, una canzone, una poesia...). Già il racconto di queste piccole esperienze è storytelling. Potremmo anche invitare i genitori.
Ti occupi di scrittura e marketing. Come possono comunicare i servizi per l'infanzia sui social?
Il discorso è molto complesso e andrebbe valutato caso per caso. In grande tema non è essere presenti sui canali digitali, ma viverli in modo da non farsi schiacciare dal loro conformismo. I social media sono enormi macchine che, se da un lato ci offrono enormi opportunità, dall'altro risucchiano il nostro tempo e la nostra attenzione mentale. Dobbiamo usarli in modo furbo e non farci usare. La nostra deve essere una battaglia culturale prima che di comunicazione.
Leggi l'intervista completa su Educare03, 2018, n. 4 (scaricabile gratuitamente).