L’attuale periodo storico-culturale è caratterizzato da individualismo. Una sua caratteristica è l’assolutizzazione di ciò che si sente in quel momento: se mi piace una cosa, allora la perseguo, anche se questo vuol dire, per esempio all'interno di una coppia, lasciare la persona con cui si vive e con cui si sono messi al mondo dei figli.
Oggi è diventato più accettabile il tradimento e anche la separazione. Difficilmente si utilizza la crisi nella coppia per capire che cosa stia davvero succedendo. Piuttosto si segue ciò che si sente – questo mi piace e questo non piace – senza soffermarsi a cogliere ciò che quel “piacere” o “non piacere” può raccontare di se stessi in rapporto con l’altro. Ma come ha fatto la nostra società ad arrivare all'individualismo attuale? Non è una domanda a cui sia facile rispondere.
Se ci fermiamo a spiegare il fenomeno del nostro tempo, la Pulcini (2001, p. 165) ritiene che l’individualismo attuale sia l’espressione “di un processo di continuità e rottura allo stesso tempo“ legata “all'evoluzione della struttura emotiva dell’Individuo”. Certamente è una lettura accattivante, ma forse è possibile scendere maggiormente nel concreto e seguire in particolare Bocian (2007) che mette come causa il tramonto della tradizione dovuto alla grande guerra. Un comportamento o un modo di pensare diventa tradizione quando sostituisce la spina dorsale dell’essere umano. E’ allora che l’umanità delega alla tradizione e la smette di pensare con la propria testa. Le convinzioni e le abitudini comuni o tradizionali diventano l’identità delle persone. Con la guerra, ci sono stati grandi spostamenti di popolazioni, per esempio persone del sud Italia sono andate a combattere nel nord, vivendo cambiamenti radicali.
In trincea la persona di Eboli, accanto a quella di Ravenna, di Genova, di Milano, il cittadino accanto al campagnolo, hanno creato confronti tra persone provenienti da vari contesti culturali, portando così a una messa in dubbio della tradizione da cui si proveniva. La messa in dubbio avrebbe potuto ritirare la delega e piano piano irrobustire la spina dorsale dell’essere umano, purtroppo invece al posto della tradizione sono stati votati i despoti a cui rinnovare la delega: Hitler, Mussolini, Franco, Stalin. Aderire ai loro desideri e ai loro dettami, anche per evitare pericoli, permetteva di sentirsi forti attraverso la delega. Purtroppo i gulag e i campi di sterminio hanno dimostrato che né l’aderire alla tradizione né l’aderire ai tiranni siano la soluzione giusta. Da allora, lentamente, l’umanità si ritirò in se stessa e ogni uomo ha incentrato la sua vita sul proprio sentire. Non era più il caso di delegare la propria vita alla tradizione o ai despoti, perché la delega era fallita miseramente.
L’unica soluzione inevitabile e necessaria fu allora chiudersi in se stessi e illudersi di vivere.
E così la visione individualistica ha iniziato a prendere il sopravvento.
Andare oltre
I genitori e i bambini di oggi sono quelli che respirano questa visione. Non esistono genitori perfetti, esistono i genitori per quello che sono e che il periodo storico in cui vivono gli richiede di essere. Oggi, nell'ottica dell’individualismo, ciò che conta è ciò che si sente. E sulla base di ciò che si sente, si agisce. Non esistono riferimenti esterni, né passati né presenti né futuri, ma solo se stessi. Per esempio, nelle coppie ciò che risulta importante non sembra essere tanto l’amore, ma piuttosto la presenza di qualcuno a fianco che sia rispettoso di ciò che l’altro vuole fare. Oppure, pensiamo alla tematica attuale delle vaccinazioni: da un lato la società cerca di vaccinare tutti, dall'altro una parte dell’opinione pubblica è contro le vaccinazioni, viste come un sopruso dell’autorità, dove la società prende il posto delle persone. In passato non ci si sarebbe mai posto questo problema: se la società aveva delle regole, andavano rispettate. Qual è allora la via di uscita che oggi possiamo trovare all'individualismo, senza tornare alla tradizione o ai despoti? .
L’individualismo non è detto che sia una cosa brutta, se in particolare togliamo l’“ismo”. L’affermazione di sé è una cosa buona. Nell'evoluzione dell’umanità la tendenza a mettere al primo posto l’individuo umano forse non è da buttare. In fondo a ben pensarci si vive una volta sola e vale la pena vivere al massimo la propria vita. Solo che essere in balìa del sentire del momento non è una gran soluzione.
Anche gli altri esseri viventi seguono e mettono in atto ciò che provano nel momento dato. Ma come si fa a trovare il proprio posto nel mondo a partire da sé nell'affrontare la vita al di là del sentire del momento? .
Prendere in mano la propria vita
Se i nostri genitori non avessero fatto l’amore non saremmo mai venuti al mondo. Prima non esistevamo, neppure nel blu dipinto di blu, l’incontro dell’ovulo con lo spermatozoo ci ha fatto esistere. La nostra esistenza ossia il nostro essere quello che siamo è dovuto alla genetica e all'ambiente. La genetica ci ha inseriti nella specie umana e l’ambiente ci è stato inculcato dai genitori. Il geografico, l’economico, lo storico e il culturale ci viene tramandato dalla mamma e dal papà e dal clima del loro rapporto. Non ha molto senso prendersela con i genitori visto che ci hanno messi al mondo, che i genitori E poi, anche se avessimo voluto avere dei genitori perfetti, vale la pena ricordare che i genitori perfetti non esistono se non nella nostra fantasia o nel nostro desiderio. Stando a Gould (2002) l’homo sapiens non è condannato come gli altri viventi a subire la propria configurazione (data dalla genetica e dall'ambiente), ma possiede una qualità speciale, che gli permette di trovare la propria strada, all'interno della configurazione ricevuta. Sappiamo che a 15-18 mesi il bambino sviluppa la capacità simbolica, che consente l’accesso alla coscienza della coscienza, che è la capacità di ritornare su se stessi. Un uccello, per esempio, migrerebbe comunque in un dato periodo dell’anno anche se non ce ne fosse bisogno.
L’essere umano può, invece, ritornare sui propri comportamenti: è questa la coscienza della coscienza. E’ questo ritorno su se stessi che permette di prendere atto di quel che si è, come risultato della propria storia, di quei genitori, con il proprio essere maschio o femmina e così via. Non è che questo ritorno modifichi o cambi la configurazione storica, ma permette di farci i conti e soprattutto di non subirla passivamente. Attraverso un processo, a volte lungo e comunque non sempre leggero, l’essere umano può arrivare a prendere in mano la propria vita e a perseguire obiettivi che decide di prefiggersi senza più essere vittima del sentire del momento. L’individualismo si basa su una visione parziale dell’essere umano.
Tramontata la tradizione e il despotismo, l’individualismo è un modo che l’essere umano ha trovato per non sparire. Purtroppo l’esistere è molto parziale: esisto perché seguo la moda, perché sono presente su facebook, perché sono in televisione, perché ho pubblicato un selfie. Esisto solo io in un mondo tutto e solo mio. Per questo quello che sento, provo, vivo è legge. Permettersi di accedere alla coscienza della coscienza significa, invece, ascoltarsi e darsi la possibilità di scegliere senza essere vittima del sentire del momento. Significa prendere in mano totalmente la propria vita sia del sentire sia del ritorno. C’è affermazione di sé nel funzionare sulla coscienza della coscienza certamente maggiormente che non sul solo sentire.
Possiamo prendere come esempio esplicativo e dimostrativo sia l’amore di coppia sia l’amore genitoriale. Quando Arturo è molto, molto arrabbiato perché Giovanna non vuole fare l’amore, certamente il suo desiderio individualistico lo porta ad assolutizzare il suo sentimento e a non incuriosirsi del perché Giovanna non desidera fare l’amore. Sono molte le ragioni per cui Arturo giustifica il suo desiderio e forse tutto sommato potrebbe anche avere ragione perché fare l’amore è sempre una cosa bella, ma il rifiuto di Giovanna non può non avere una spiegazione che riguarda il loro rapporto.
L’impostazione individualistica non vede che il proprio bisogno o stato d’animo e lo persegue nonostante tutto e tutti. Nell'ottica che sto proponendo l’amore, come dice anche Jullien (2013), va al di là dell’eros e dell’agape e diventa “intimo”. L’intimo, grazie alla consistenza dell’Io-soggetto, riesce a portare il “dentro” ad arricchirsi con il “fuori”.
Se Arturo accedesse all'intimo, grazie alla coscienza della coscienza, non vedrebbe solo il proprio desiderio di fare l’amore, ma sarebbe scontatamente portato a cercare di capire che cosa impedisce a Giovanna di accedere anche lei alla piacevolezza dello scambio sessuale. L’amore genitoriale e in particolare l’amore della madre è scontato.
Da che mondo è mondo l’amore di papà e mamma è indicato come assoluto, irrefutabile e intoccabile. Eppure mi sembra abbastanza obiettivo sostenere che i genitori amano per come sono configurati. E’ difficile, se non quasi impossibile, trovare dei genitori che amano i propri figli riconoscendo, almeno a se stessi, come il loro amore è colorato.
E’ normale che i genitori riversino sui figli i propri bisogni e i propri desideri. Normale e inevitabile. Lo si chiama amore, ma in realtà è uno spostamento sui figli di quello che sono i genitori, anzi di ciò a cui tengono di più. E’ comunque inevitabile sostenere che al di là di questo tipo di amore esiste nei genitori un’aspirazione più o meno nascosta che si augura possano i figli essere felici e godersi la propria vita.
Se i genitori, con l’accedere alla coscienza della coscienza, possono arrivare a cogliere come amano i figli, ossia che cosa di loro hanno trasmesso ai figli, questo certamente aiuta i figli a prendere in mano la loro vita affrontando le fantasie inevitabili di tradimento e di vuoto. Forse però poi tocca ai figli occuparsi di se stessi indipendentemente dai genitori.
E' necessario essere amati per crescere?
Il numero di separazioni nella coppia pochi mesi dopo la nascita del primo figlio è molto elevata, perché mettere al mondo un bambino apre l’amore da due (coppia) a tre (coppia e figlio). Se l’amore è vissuto in ottica individualistica, il rischio è quello di vacillare proprio in questo momento, perché l’apertura comporta una relativizzazione dell’amore a due. L’atto di far l’amore, dal momento che potrebbe portare a un figlio, probabilmente ha in sé una valenza molto creativa, di apertura dell’amore oltre la coppia, di intimità profonda. Quando siamo di fronte a una separazione tra genitori dobbiamo innanzitutto prendere atto che le cose sono andate così. Sappiamo che le separazioni lasciano sempre traccia nelle persone coinvolte. Come educatori si può prendere atto della sofferenza del bambino, rispettarla, volerle bene, in un atteggiamento che sia rispettoso e non sostitutivo di altre figure (“ti voglio bene al posto di…”) o giudicante verso entrambi i genitori o uno dei due. E’ diffusa l’idea che un essere umano non può vivere bene la sua vita se non è stato amato.
Questo è considerato un dogma, ma in realtà le cose non stanno così! L’essere amati dai genitori, nel senso indicato prima d’intimità, sostiene più facilmente il bambino nel suo prendere la propria strada, perché un bambino rispettato è più incline a rispettare sia se stesso sia l’altro. Ma l’essere o non essere amati è una questione secondaria rispetto alla possibilità di ciascuno – amato o non amato che sia – di “ritornare a se stesso” (coscienza della coscienza), di cogliersi nel proprio stare al mondo.
Questo significa che possiamo porci tranquillamente sia verso i bambini amati sia verso quelli meno amati, poiché ciascuno di loro ha la capacità di trovare il senso alla propria vita. Tanto più se ha un educatore rispettoso della sua sofferenza. Quando parlo di rispetto intendo dire poter prendere il bambino sul serio per quello che è. Spesso non riusciamo a vedere i bambini per quello che sono e non riusciamo a capirli. Probabilmente si deve a come è fatta e a come funziona la conoscenza umana se abbiamo bisogno di teorie.
Da che l’uomo ha iniziato a scrivere leggiamo solo teorie universali e generali sull'essere umano e sul suo funzionamento. Alcune sono giuste e alcune sono da buttare, tutte però sono generali, applicate a tutti.
Le teorie sono necessarie, ma il singolo bambino non può essere letto alla luce di una teoria universale. Rispettare vuol dire fare il passaggio dalla teoria generale al singolo essere umano. Ogni bambino ha avuto i genitori che ha avuto e non altri, è nato in quel ambiente geografico, economico sociale e culturale che è il suo, è maschio o femmina. Ogni singolo bambino merita di essere considerato in quanto unico e specifico. Rispettare, prima di ogni altra cosa, vuol dire prendere sul serio il bambino singolo per quello che è. E se siamo noi adulti a lavorare prima di tutto in quest’ottica, ad andare nella direzione dell’Io-soggetto, della coscienza della coscienza, anche chi è vicino a noi ne beneficerà.
Michele Minolli, psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista.
Articolo comparso su Educare n. 6, 2017.