Non è un caso che queste letture “riservate” siano richieste specie in certi momenti, durante l’accoglienza, dopopranzo, quindi quando si deve da un lato rielaborare il distacco quotidiano dal genitore e riallacciare i legami di cui si intesse la quotidianità al nido, dall'altro compensare la stanchezza, che inizia farsi sentire e prepararsi a quell'ulteriore distacco che è il sonno.
Nella richiesta“raccontami una storia” c’è tutto il desiderio del bambino di saperti vicino, lì per lui, in un “raccontargli”, che è in realtà molto un ascoltarlo. È con questa consapevolezza che anche noi adulti, a nostra volta, quando cogliamo che un bambino ha bisogno di essere rassicurato, calmato,di sentirsi oggetto di un’attenzione particolare, spesso gli proponiamo di condividere una storia.
La lettura al nido è anche ritualità,accompagnamento e comprensione dei momenti e dei gesti che scandiscono e identificano le nostre giornate; così, per esempio,abbiamo le “storie della pappa” e le “storie della buonanotte”, lette prima di andare a sederci a tavola o prima del sonnellino, sono storie che ripercorrono le azioni che si compiono, ma anche piccoli“incidenti di percorso” (il “capriccio”,il peluche che non si trova...)o rimandano ad alcune conquiste correlate (come pazientare o fare la nanna senza ciuccio).
In quanto rito,il racconto ha in questo caso il compito di trasmettere al bambino, attraverso la ricorsività, la sicurezza che solo le cose conosciute e familiari offrono; e tale funzione è a maggior ragione svolta in quanto, visto il loro contenuto,aiutano anche a capire meglio quel particolare passaggio a cui ci si sta accostando.
La lettura è, inoltre, scoperta di nuovi oggetti e parole,occasione di apprendimento e conoscenza del mondo che ci circonda, ma anche dei simboli (immagini,linguaggio verbale) che questa realtà rappresentano,spiegano e rendono comprensibile e significativa,proprio perché “ce la raccontano” e ci permettono di“raccontarla”. “Raccontami cosa è successo”, “raccontami com'è questo posto”, “presentati, raccontami un po’ dite”, “raccontami come si fa a fare questa cosa”: sono frasi comuni che evidenziano come la conoscenza e il sapere dell’uomo da sempre siano veicolati, anzi,abbiano proprio la forma del racconto.
Non a caso Bruner parla del pensiero narrativo come forma di conoscenza,alternativa al pensiero logico: mentre quest’ultimo ci consente di comprendere il mondo fisico e naturale, il pensiero narrativo invece ci guida nella scoperta del mondo umano, un mondo storico, simbolico, relazionale.Le relazioni sono impregnate di racconti: la mamma parla al bimbo che porta in grembo, che ancora non può guardare negli occhi e abbracciare, raccontandogli qualcosa e, dopo che il piccolo sarà nato, questo racconto continuerà, come modo per renderlo sempre più partecipe di ciò che lo circonda, ma anche per comunicargli il suo interesse per lui, il suo essergli vicina,quando in realtà è un po’ distante, ma con la voce può cingerlo e riportarlo a sé.
La lettura è conoscenza perché innesca il confronto, la conversazione. Quante volte da una storia si sviluppano spontaneamente altre storie, perché un’immagine a me ne richiama un’altra e questa a te ricorda una cosa che hai visto stamattina, ma anch'io l’ho vista ieri col nonno, il suo nonno verrà oggi a prenderla e andranno al parchetto, a me piace giocare con lo scivolo…
Il racconto si fa racconto corale, in cui ognuno svela un po’ di sé.E poi la lettura è emozione!
Ci sono storie buffe, che permettono di giocare e divertirci tutti insieme: momenti di serenità e allegria che stemperano tensioni, danno senso all'unità del gruppo e alimentano l’affiatamento. Ci sono storie che emozionano e coinvolgono, perché fanno rivivere situazioni comuni, in una condizione “protetta”, in quell'interregno magico, a metà strada fra realtà e finzione,interno ed esterno, dovere/potere e volere, in cui si collocano anche il gioco e il disegno.
Così, senza temere conseguenze negative, perché “faccio finta”, scimmiotto Pingu che fa il monello, risponde male a mamma e papà, sbuffa, brontola,esprime tutto il fastidio di essere rimproverato (anche a me dà fastidio sentirmi sempre dire cosa devo o non devo fare!), dice pure “che schifo!!”, concedendomi la trasgressione, che, per finta, è ammessa; ma, finalmente, mi posso anche mettere nei panni dei grandi che lo sgridano, provare io a essere quello che decide, che mette dei limiti.
Mi riconosco facilmente nella tristezza di Topo-Tip, che non vuole che la mamma vada al lavoro: mamma, non mi vuoi più bene? Ti sei stancata distare con me? E poi la voglia di fare, di crescere, ma anche le titubanze di Anna, che si sente grande e vuole fare cose da grandi, così… basta pannolino! Ma, quando si trova davanti al water qualche incertezza ce l’ha e allora la incoraggiamo noi:“Anna! Anna! Sì, prova, puoi farcela!!”.Situazioni, contesti, piccoli conflitti “di pancia” e “di cuore”che, raccontanti, possono essere rivisti, ma “dall'esterno”, col supporto dell’adulto che narra, che mette a fuoco e legittima tali esperienze e accompagna il bambino al loro riconoscimento (innanzitutto dandogli un nome e narrandole), gettando le basi per una efficace gestione affettiva, che maturerà gradualmente negli anni.
Modi e Tempi
Al nido le occasioni di lettura sono diverse e ognuna ha il suo senso e la sua importanza.
C’è la lettura nel gruppo ampio, che può essere tanto un momento strutturato, al quale tutti i bambini sono chiamati a partecipare,quanto spontaneo: qualcuno chiede di leggere una storia e pian piano la maggior parte dei bimbi si lascia coinvolgere.
Ci sono momenti di lettura individuale, in cui l’educatrice legge con un singolo bambino o al massimo con due o tre,in uno spazio molto intimo, raccolto, di grande spesso relazionale.
C’è poi la lettura individuale dei singoli bambini,che hanno a disposizione libri da sfogliare in autonomia, ed è interessante vedere, di volta in volta e col trascorrere del tempo, come si rapportano a essi: chi scorre silenziosamente le pagine, chi borbotta, chi “si racconta” la storia, quelli che sono seduti vicini e interagiscono attraverso la lettura(si mostrano reciprocamente le immagini, si indicano i personaggi, provano a narrare). C’è anche chi si mette nei panni “della maestra”, si siede, gira il libro verso gli altri,proprio come facciamo noi, e inizia a raccontare, rivolgendosi al pubblico dei compagni, che non sempre c’è davvero.
E, in tali situazioni, è importante per noi vedere quanto i bambini riproducano certe espressioni, frasi, termini con cui noi siamo soliti narrare le storie, modalità che ha a che fare non solo con l’abitudine, la memoria,l’apprendimento e gli aspetti strettamente cognitivi, ma anche con la dimensione relazionale (questo è il modo in cui tu, che per me sei un riferimento, racconti la storia a me, e questo la rende speciale, fa di una storia la nostra storia e ci tiene vicini) e affettiva (ripetere la stessa storia, nello stesso modo fa parte di quel “ritorno dell’identico” che tanto rassicura i bambini).
Articolo comparso su Educare03,2016,n.3.
Greta Carubelli, educatrice.